Friday, December 10, 2010

MALA TEMPORA CURRUNT ...


Da qualche tempo sono solo in casa. Mi piace stare da solo con i miei pensieri se non fosse proprio per i miei pensieri. Si avvicinano alla mente, prima sottili come carezze, poi subdoli come sicari sino a lasciare spazio all'ansia, al panico.

Le bollette, le assicurazioni, e l'I.V.A., i mancati incassi di una clientela sempre più in crisi, sempre più carica di ... pensieri.

Fuori le luci dei negozi per il prossimo Natale cercano in tutti i modi di essere più sfavillanti e più calde ma mi danno più tristezza che gioia.

Ascolto l'ultimo cd di Zucchero e quella musica proprio non aiuta, non invoglia all'ottimismo.

"Mala tempora currunt" diceva un romano antico. Chissà se rivolto ai suoi tempi o oracolo dei nostri.

Passerà. Tutto passa. Speriamo.

L'antico romano aveva anche aggiunto "... sed peiora parantur" ma certamente non sarà passato alla storia per questo suo seguito.

Maledizione! Quando lo cerco non lo trovo mai. Dove l'avrò messo? Maalox maledetto dove sei? Ho


NAUSEA


:-/

Wednesday, October 13, 2010

MONTANARI


Mi è capitato di scrivere sul mio Blog diversi post trattando i più disparati argomenti spesse volte caldi ed attualissimi come i Musulmani e la loro assurda religione o la Politica da operetta del nostro Paese e mai, sino ad ora almeno, ho ricevuto i commenti accalorati, agitati, esagerati di quella gente che mi piace chiamare "popolo della montagna".

Chi l'avrebbe mai detto?

A dire il vero un po' di ragione l'hanno pure dal momento che, in due occasioni, ho trattato un argomento del quale non so assolutamente nulla: l'alpinismo.

Ebbene si! Non capisco assolutamente niente di imbracature, cunei, corde, camme, rampini, moschettoni e via dicendo.
Non so cosa significhi "bouldering" nè che vuol dire "indoor" e tantomeno perchè una arrampicata si chiami "sportiva" mentre un'altra "tradizionale".
Non ho mai visto il massiccio del Monte Bianco nè le Dolomiti e l'unica mia esperienza alpina si riduce in una passeggiata su di un cratere dell'Etna dove sono giunto a bordo di una Jeep.
Non lo so, non mi sono mai preoccupato di saperlo nè, nonostante tutto, mi interessa.

La mia conoscenza della materia ha inizio e fine negli annunci della stampa nazionale che scandiscono, come un rubinetto rotto, le perdite in vite umane degli
aficionados della montagna, ultimo dei quali, a sentire loro, un grande dell'arrampicata libera: Kurt Albert.

Riconosco le mie colpe. Ho dato dell' "idiota" a quest'ultima vittima ma, non voleva essere una offesa alla persona ma al suo modo di intendere, di concepire, quello sport.

Porgo, quindi, le mie più sentite scuse a chiunque si sia sentito offeso dai miei scritti ad iniziare dall'Ironman della Valfurva che oltre ai gadget degli sponsor ha anche un nome - Marco Confortola - a Kurt Albert il cui ricordo è ancora vivo tra gli abitanti della montagna e a tutti, insomma.
:-)

Wednesday, September 29, 2010

L'IDIOTA

Albert Einstein diceva che :“Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, e non sono sicuro circa l’universo.” Sante parole.

Già precedentemente mi è capitato di scrivere sul conto dei nostri eroi moderni .
E non parlo di generali comandanti di truppe volte a difendere i suoli patri o della comunissima gente che giorno dopo giorno è costretta a vivere con due soldi che, sempre ed in qualsiasi caso, debbono quadrare un bilancio per il quale ne necessitano più di quattro.
No. Gli eroi moderni sono chi riesce a vivere dentro una casa circondata da microfoni e telecamere o su di un'isola caraibica a fingere di essere i nuovi Robinson oppure ancora alpinisti che affrontano le vette più alte del pianeta per poi piantare su una bandierina oppure accompagnare alla morte povera gente che rischia la vita e muore per pochi dollari e per la gioia dell'idiota di turno che poi rilascerà interviste e foto dell'impresa.

Parlerà, a tal proposito, dell'asprezza della montagna e di come l'uomo è riuscita a dominarla e cazzate del genere. Ometterà,
invece, di riferire, o per pudore o per distrazione, dei contratti con sponsor. Perchè, si sa, l'uomo, come l'anima, è etico ed estetico, virtù ed interesse, cuore e pancia.
Vorrei ricordare al riguardo il nostro Marco Confortola, l'Ironman della Valfurva, l'uomo d'acciaio della Valtellina, che dopo avere accompagnato a morire tre nepalesi morti di fame il buon Dio ha ritenuto opportuno congelargli i piedi e dare ai medici l'incarico di amputarglieli sperando, in tal modo, che con quei moncherini il nostro ritenesse opportuno rimanere più a casa vicino ai suoi affetti.

Sappiamo che la mamma degli idioti è sempre incinta ma, per fortuna, ogni tanto la stessa piange per la morte di un suo stupido figlio.
Leggo che Kurt Albert è morto.
Dalla stampa apprendo che questi è precipitato per 18 metri sulla via ferrata "Hoehengluecksteig". Mai sentito parlare prima nè dell'alpinista nè della via ferrata e credo di essere venuto su bene lo stesso nonostante queste mie imperdonabili lacune.

Leggo anche che è stato lui che ha coniato il termine "rotpunkt" nel 1975 per indicare una salita libera, senza aiuti artificiali di nessun tipo. Che bestialità!
Oggi l'idiota non c'è più. L'idiota è morto. E se prima ai più era sconosciuto oggi sarà assolutamente cancellato dalle memorie e credo che l'umanità saprà sopravvivere a questo lutto sempre e comunque.

NAUSEANTE

:-(

Wednesday, August 25, 2010

ATTILA FLAGELLO DI DIO



"Mi faresti un favore grande ... grande ... chessò ... quanto una casa ?" non è una domanda, anche se può sembrare, ma un ordine perentorio a cui segue una malcelata, infida e sottintesa minaccia del tipo "Se mi dici no giuro che ...".
"Dai su! ti prego! si tratta di sei giorni, meno di una settimana!" è l'espressione pietosa che segue alla prima richiesta.
"Non saprei come altro fare e poi ... so che in fondo in fondo piace anche a te!"
"Avanti - dico io - spara! che ti serve?"
"Attila!" dice il mio amico. Solo tre sillabe: At-ti-la.
So di chi parla e già capisco cosa vuole.

Attila è un gatto soriano, il suo gatto. Un felino di sei chili, grigio e striato, con un chilo di unghie affilate. Dove passa lui non resistono tende, piangono fodere di divani e gridano vendetta le poltrone.
Chi lo conosce perde la fede in Dio.
Attila è un'arma di distruzione di massa.

"Ma non se ne parla proprio!" dico io "ma per carità!"
"Guarda! ti dò le chiavi di casa. Una volta al giorno ti fai vedere, gli dai una bustina di cibo, un po' d'acqua e se puoi gli cambierai la lettiera. Nient'altro. Pochi minuti al giorno ... per sei giorni!"
"Ma porcaput..." è l'imprecazione che mi si strozza in gola.
"Si? si? e dai! si?". Accenno un si con il capo e subito mi trovo in mano le chiavi dell'appartamento del mio amico.

Alle 18.00 circa raggiungo casa. Apro e Attila è già lì, appena dietro la porta. Mi si struscia sulla gamba e mi saluta con un fievolissimo "
miaooo" poi si alza sulle zampe posteriori e si affila le unghie sui miei jeans e sulle carni del mio polpaccio. Lo accarezzo e lui, il maledetto, si struscia alzando la sua coda.
Come da accordi gli preparo la cena, verso un po' d'acqua nella ciotola e, approfittando della sua attenzione per il cibo, vado via da casa.
Facile. E' stato facile dopo tutto.

L'indomani, un po' più tardi, verso le 20.00, ritorno in quella casa ed Attila mi accoglie miagolando più forte come a mostrare il suo disappunto per il mio ritardo. Corre verso la cucina ed incomincia a girarmi tra le gambe come se mi volesse far premura a servigli il pranzetto.
Velocemente ingoia il contenuto della bustina che qualche secondo prima avevo versato nella ciotola e con un balzo salta sul divano straiandosi vicino a me.
Gira la testa verso il basso e capisco che ha voglia di coccole.
Gli gratto la gola ed inavvertitamente scendo delicatamente verso la pancia. La mia mano viene bloccata dalle zampe e dalle unghie anteriori mentre le posteriori con una serie di due-tre strattoni mi graffiano tutto il braccio interno. La sensazione è la stessa di aver toccato un filo elettrico scoperto. Una scossa secca ti attraversa il corpo e dall'interno di esso si eleva al cielo una imprecazione quasi simile ad una bestemmia.
Ma Attila rimane lì a testa eretta e straiato su di un fianco sul "suo" divano.
Mi avvicino alla porta di ingresso e vado via. Ne ho avuto troppo e per oggi può anche bastare.

"Ah! se sapesse! Lei non mi crederà! Ma stanotte ... Oh mio Dio! Stanotte! Non siamo riusciti a chiudere occhio!" mi dice la signora vicina di casa del mio amico sentendomi aprire la porta e venendomi incontro.
"Buongiorno signora! Cos'è successo?" chiedo.
"Il gattino, il gattino del suo amico, ha miagolato per tutta la notte! Poverino si sente solo! Faccia qualcosa! Lo faccia anche per me. Sa! Sono anziana, dormo poco la notte e per quel po' sono stata svegliata da quel miagolio .... straziante! Veramente straziante!" Mi dice la signora e con questa sua richiesta ermetica e sibillina mi fa capire di prendermi più cura del "gattino" anzi di prendermi proprio il "gattino" e portarlo via da quella casa e possibilmente non ritornare più.
"Ma certo signora!" dico io ed aggiungo "Lo porterò con me oggi stesso! Contenta?"

Attila sembra aver capito il programma e mi gira attorno strusciandosi ancor più di prima. Lo prendo in braccio e dopo aver aperto la portiera della mia auto lo adagio sul sedile. Il tempo di girare e lui si adagia per lungo sulla cappelliera.

Giunto a casa ho il tempo di fare scendere il gatto dalle mie braccia che subito, con un balzo leggero e silenzioso, salta su di un cuscino del divano. Socchiude gli occhi e incomincia a "ronfare". E' il nuovo padrone di casa in assoluto. Si muove con grazia, senza paura alcuna, con padronanza.
Passano gli ultimi tre giorni con il mio nuovo inquilino senza grossi traumi e senza eccessivi danni. Piange un cuscino squartato e soffre una tenda che avrei voluto cambiare già da tempo. Il dorso delle mie mani e le mie braccia portano i segni dell'affetto del "gattino" ma passeranno!

"Tieni! portatelo e non mi chiedere più favori simili!" dico al mio amico.
"Grazie, grazie ancora. Ma si è comportato veramente male? Scusami ancora." mi dice e dopo aver preso in braccio Attila va via.

Finalmente mi sono tolto di mezzo quel peso! Non ne potevo più! Ah.!!!.. finalmente solo! Solo! Troppo solo! Cerco con gli occhi Attila che è andato via. Lo riesco a vedere anche se non è più con me.
Riesco ancora a sentire il suo "
purr... purr..." a sentire la vicinanza ed il calore del suo pelo morbido.
Non c'è più. Finalmente. Ed io sono solo, tremendamente solo ed ho


NAUSEA

:-(

Friday, August 13, 2010

GENERAZIONE AL PLASMON


Quando vado a casa dei miei mi piace stare qualche minuto solo nella stanza che continua ad essere mia e rovistare fra le mie cose. Ogni oggetto continua a trovarsi nello stesso posto dove l'ho lasciato e anche se non ha alcun valore commerciale è per me importante. I ricordi riaffiorano sempre con dolcezza. Quest'anello in argento mi fu donato da una mia amica a cui volevo un bene più grande dell'amicizia e che non ebbi mai il coraggio di confessare. Questo giornalino invece lo ricevetti in dono da un mio compagno di classe prima di trasferirsi presso un'altra città.

Non mi piacciono i ricordi. Mi fanno stare male. I ricordi ti gridano quanto tempo della tua vita è trascorso e quanto inutilmente. Ti urlano quello che avresti potuto essere, chi eri e chi realmente sei diventato e sei. Adesso non puoi più farci niente anche se credi che potresti far qualcosa. Non è bello vivere dei ricordi e non è bello averne.

Ma da dentro un cassetto dello stesso mobile ecco che intravedo qualcosa
di nuovo; una foto della quarta classe elementare da me frequentata presso l'Istituto Salesiani della mia città. 23 bambini dentro un'aula, posti su tre righe, i più alti dietro ed i più bassi seduti o in ginocchio, tutti con un grembiulino nero, con lo stesso collettino bianco e con lo stesso fiocco grigio per i maschietti e grigio chiaro per le femminucce. A dire il vero i fiocchi erano blu e rosa ma la foto è in bianco e nero e quelle tonalità di grigio della foto conferiscono più uniformità.

Che strano, riesco a ricordare i miei compagni anche se non proprio i nomi di tutti. C'era Grattacielo, uno spilungone, il primo in alto a sinistra, e davanti a lui Ciccio, un ragazzotto grasso a cui la classe aveva dato proprio quel nome. Nel mezzo sorrideva Andrea e le suo orecchie a sventola guadagnavano una gran parte della carta della foto stessa. In prima fila sorrideva Giovanni a cui la poliomielite aveva dato un forte schiaffo del quale portava le conseguenze. Maria era la più piccola di statura e vicino a lei stava seduto Pierino con un occhio perennemente socchiuso per nascondere il suo strabismo di cui si vergognava. Dentone si chiamava così per una sua specialità immaginabile mentre l'Abissino prendeva il nomignolo più per i capelli crespi che per il colore della sua pelle scura tutto il contrario del Tedesco di un pallore cadaverico e dai capelli lisci e biondi.

Per una assurda coincidenza o casualità mi è capitato qualche giorno prima vedere una analoga foto di classe del figlio di un mio amico, La foto era a colori ed i vestiti dei bambini la rendevano ancora più colorata. Non si usano più i grembiulini e men che meno i fiocchi al collo. Alcuni dicono che ricordano troppo il truce ventennio fatto di uniformi e disciplina.
Tutto quei bambini sorridevano al fotografo mettendo in mostra, quasi tutti, un bell'apparecchio ortodontico. Tutti uguali, tutti belli, con piccole e trascurabili sfumature.

E' la nuova generazione tirata su con omogeneizzati e preparati alimentari per l'infanzia.
E' la nuova generazione che scoppia di salute, ipervaccinata contro tutto e a copertura antibiotica per tutto. Penso che dove non riesce il grembiulino ed il fiocco ci pensa Plasmon a rendere uniformi i bambini ma questa è una mia opinione personale come mia rimane la


NAUSEA
:-(


Saturday, August 07, 2010

GENTE COSI'

Ormai da qualche anno vivo, in affitto, in un palazzo nobiliare antico. La nobiltà di quest'immobile è visibile all'ingresso dove una enorme aquila, credo in gesso, sovrasta, all'interno, il portone mentre una vetrata colorata, posta di fronte ad esso, limita l'accesso a quello che nei tempi scorsi sarebbe dovuto essere un giardinetto mentre oggi è il deposito di ingombranti serbatoi d'acqua e di una rumorosissima autoclave. La nobiltà decaduta si apprezza anche dalla polvere che incipria gli stucchi delle scale, ne oscura le lampade e dai mattoni del mio piccolo appartamento che si staccano con maggiore frequenza.

All'esterno dello stabile vi sono dei negozi, alcuni dei quali, ultimamente con maggiore frequenza, cambiano i proprietari delle licenze e le categorie merceologiche mentre il più piccolo di questi espone con fierezza un'insegna sull'ingresso, in lamiera con una scritta in corsivo verde scuro su sfondo crema; F.lli Grimaldi - Sartoria dal 1926.

Il vecchio sig. Grimaldi lo trovo ogni giorno seduto su di una umile sedia vicino alla porta, chino su qualche stoffa a cucire ed appoggia un piede su di uno sgabello che serve da banchetto per i "ferri" del mestiere: matassine di filo, una forbice, un gessetto, un ditale e piccoli altri oggetti. L'altro fratello, ho saputo, è deceduto già da qualche anno ed altre due persone, un ragazzo ed un uomo quarantenne lo aiutano ad andare avanti con il lavoro.

Il signor Grimaldi è una brava persona e mi piace scambiare qualche parola con lui.

"Come va, signor Grimaldi?" chiedo dopo averlo salutato. "Bene ma ... potrebbe andare meglio o ... forse non andrà mai meglio di così!" mi risponde storcendo un po' la bocca.

"La crisi, vero?" chiedo con quel po' di retorica e "No ... non è crisi. Anzi , a dire il vero, non ho mai accusato la crisi in questo settore. Ma si accomodi. Prenda quella sedia e si sieda. Qui, vicino a me! Scambiamo due chiacchiere" .

"Vede! Ho il negozio pieno di buste di negozi di abbigliamento di una gran parte della città. " dice. "Bene! No?" chiedo pur sapendo che proprio in quelle buste sta l'origine della smorfia al viso del signor Grimaldi. "Si, certo che si ma ... si tratta di lavori semplici, di routine. A questi debbo accorciare i pantaloni e stringere qualche abito, mentre a quelli debbo cambiare i bottoni o aprire qualche asola. Tutti lavori così, senza interesse, senza gioia. Lo sa? si deve lavorare anche per la gioia oltre che per il denaro. Anzi..." e si interrompe con la stessa smorfia al volto di prima.
"Anzi ?" chiedo per sentirne il ragionamento. Il vecchio sarto appoggia ciò a cui lavorava sulle gambe, si toglie gli occhiali e ricordando i tempi andati dice: "Una volta si lavorava per poco e quel poco sembrava moltissimo. Eravamo tutti povera gente ed il sarto serviva a nascondere la povertà. Quante volte ho "girato" cappotti e giacche! e certe volte l'interno era più logoro della parte in superfice ! Ricordo anche quando con Emilio, mio fratello, prendevamo le misure di qualche abito da produrre per il matrimonio del cliente. Sempre con qualche mezza taglia in più perchè, dopo il matrimonio, spuntava la pancetta. E quel cliente ritornava, dopo qualche anno, perchè si doveva fare qualche altro lavoro, sempre allo stesso abito. Dover dire ad un cliente che non c'era più nulla da fare per il suo vestito era come riferire una diagnosi cattiva, infausta. Ricordo anche il viso di quelle mamme che portavano i pantaloni nuovi dei loro figli bucati sulle ginocchia per una caduta durante una partita di calcio. Aspettavano in preghiera una nostra sentenza il più delle volte molto mite. Ma eravamo sarti e la sartoria era il nostro lavoro. Poi sono venuti i signori Marzotto, Lebole, Sanremo con i loro abiti da catena di montaggio. Tutti uguali, modesti sia nel taglio che nella qualità delle stoffe ma noi servivamo ancora, servivano i nostri ditali per modificare qualche mezza taglia o la lunghezza. Oggi non è più così! La qualità delle stoffe è pessima e gli stessi vestiti debbono servire solo per una stagione o due al massimo. Eppoi ci sono i nuovi tessuti supertecnologici. Li chiamano Hi Tech come la Ceramide o il Teflon oppure il Goratex. Per me sono solo plastica: impossibili da cucire, difficili da regolare, brutti. Pazienza!" e scuote piano la testa come per voiler concludere un discorso doloroso.

"Già! Vero!" dico e subito vengo interrotto "Oggi mi danno 10 euro per accorciare un pantalone e 20 per un piccolo lavoro su un abito di seta. Guadagno bene e non mi posso lamentare ma vuoi mettere?..."

Non è la stessa cosa. Non può essere la stessa cosa. Non potrà mai essere la stessa cosa. Tutto cambia e cambierà tranne che la

NAUSEA
:-)

Wednesday, August 04, 2010

INTERRACIAL


Anna è la mamma di un mio amico ma è come se fosse la mia. Anzi non è mia mamma ma è una mia amica perchè con gli amici si può discutere e comportarsi come con la propria madre non potresti fare.

Sempre attenta alle esigenze degli ospiti e, a volte, ossessivamente attenta a non far mancare un sorriso, una carezza ed un consiglio garbato e, perchè no, anche un rimprovero.

La conosco da sempre e per sempre la vorrò conoscere, le vorrò bene ed averla vicino.
"Buongiorno signora Anna. Come va?" è il mio saluto. "Ciao! Bene! Non proprio bene: benino ... quasi malaccio!" è la sua risposta che mi turba e mi preoccupa. "Che è successo? - chiedo - stai male?" "No no no! ci mancherebbe anche questa. E' che ... scusami, ma non mi va di parlarne!"
Prende da un pacchetto una sigaretta, la sta per accendere dalla parte del filtro, la rigira tra le mani ancora spenta e la ripone nel pacchetto.

"Vuoi un caffe.?" chiede con un sorriso falso come una moneta da tre euro. "Ma si! Così ci calmiamo un pochino! Che ne dici? Mi fai compagnia?" "Ma certo" dice lei e subito dopo porta a tavola una caffettiera e due tazze.
Vuole parlare, lo sento, vuole gridare e sbattere i pugni sul tavolo o in faccia a qualcuno, ha bisogno di dire quel che le rovina lo stomaco. "Che succede?" le chiedo con un tono più energico. "Marina. La mia disgrazia si chiama Marina. Non doveva farmi questo!".

Marina è la figlia venticinquenne, carina, studentessa e lavoratrice, per non pesare sulla famiglia. Una brava ragazza! Un carattere dolce e spigoloso al tempo stesso.
"Perchè disgrazia, cosa ha combinato?"
"Ha un ragazzo!" dice lei "un bravo ragazzo, nulla da dire, serio, simpatico. Ha una laurea e conosce anche tre lingue. Ma ..."
"Vabbè! Ma ti devi pure convincere che Marina ha 25 anni e doveva pur succedere!" accenno in risposta. "No, no. Non puoi capire! Lui è uno straniero, è un senegalese, o liberiano o avoriano non so meglio dire. Per me sono tutti gli stessi". "Cioè? ... Nero?" dico io.

China il capo a far intendere un si ma aggiunge anche un sospiro profondo, agitato e muove le mani come a voler aggiungere qualcosa che non vuole uscirle dagli intestini e le si blocca in petto.

"Ma dai! Su! Non sarà mica Barbablu o che so io! Credo che sarà anche un giovane simpatico conoscendo il carattere di tua figlia. Suvvia! Non è mica l'uomo nero? " e mi accorgo solo dopo averla detta di aver commesso una terribbile gaffe che, per fortuna, viene accolta con un sorriso da Anna.
"Chissà! A me questa storia non piace!" dice lei. "Ma già lo conosci?" chiedo.
"No no no, ma vorrei anche conoscerlo e parlargli. Per vedere che pasta d'uomo è. Ed inoltre ... lasciamo perdere và!"
"Lasciamo perdere cosa?" chiedo ancora.
"Mi sembra che sia anche ... anche!!!"
"Anche?" allungando la sua risposta.
"Musulmano! Non praticante, non fondamentalista ma musulmano. Ecco! E te l'ho detta tutta!" e finalmente respira profondamente come a volere saziare una fame d'aria.

"Beh! effettivamente! avere un tizio per casa che, ... per cinque volte al giorno, ... si stende per terra e ti mostra .... il culo in preghiera non è, ... come dire, proprio il massimo ma ... !!!" Non so cos'altro aggiungere ma sembra che quella mia espressione abbia allietato ancor più Anna che scoppia a ridere.

Abbiamo finito di bere la prima tazzina di caffè ma ne abbiamo bisogno di un'altra e questa volta corretta con della grappa. Molta grappa. "Allah akbar!" è il mio latrato alzando la tazzina. "Prosit!" risponde Anna sorridendo ancora.

Abbiamo la stessa sensazione, la stessa

NAUSEA
:-(

Saturday, July 31, 2010

FACEBOOK



La figlia di un mio amico per dire di non aver capito bene un argomento, un tema o, comunque, un discorso usa una espressione colorita ma di sicuro effetto: "Non c'ho capito una cippa lippa !". La frase rende l'idea in tutto il suo insieme.
Bene: anch'io non c'ho capito una cippa lippa!


Leggo che "Facebook è una piattaforma sociale che ti consente di connetterti con i tuoi amici e con chiunque lavori, studi e viva vicino a te". Non ho proprio tanta dimestichezza con questo genere di connessione informatica ma ho avuto anch'io la curiosità di provare ad entrare in questo mondo molto popolato e, per certi versi, assurdo.


Dopo la registrazione ho seguito i consigli di ricercare i vecchi amici e compagni di scuola e ciò che mi ha sorpreso è che molti di quelli che cercavo erano lì presenti. In orario di lavoro ed ufficio "ho richiesto la loro amicizia" che dopo qualche ora mi è prontamente giunta, segno evidente che molta gente, o almeno molti miei conoscenti ed amici, non hanno proprio nulla di meglio da fare che stare incollati di fronte ad un monitor ed a una tastiera di computer. L'indomani, aprendo la "mia pagina", trovo cinque messaggi.


La curiosità è donna ma io avrò sicuramente qualche ormone femminile di troppo e la cosa mi preoccupa. Apro i messaggi e trovo due richieste di amicizia di persone che mai ho conosciuto in vita mia, due inviti a giochi di società - Hotel city e Pet society - e un "chi sei"? Non conosco chi scrive e diffido sempre a presentarmi per primo. Gioco, invece, con Pet society. Capisco subito che si tratta di un giochino noioso che ha il pregio di inebetirti ancora di più di quanto possa tu stesso pensare. Dopo qualche giorno rientro nella mia pagina e leggo: "Giovanni Tizio e Mauro Caio hanno commentato la foto di Giovanna Sempronio". "Ma che me ne frega"! dico tra me e me.


Scorro la mia pagina e: "Mario Lavezzi ha taggato una foto". Taggare, cosa significa taggare? Non mi va di approfondire. Continuo a scorrere la pagina e trovo due notifiche e mi accorgo di avere 158 amici. E chi lo avrebbe mai detto! Non ho il tempo di rispondere e scrivere qualche rigo che subito altre richieste di amicizia arrivano e domande impertinenti mi fanno credere di non essere poi tanto "antico". Solo dopo ho saputo che quelle ultime domande facevano parte di sondaggi della "piattaforma sociale" che nulla avevano di statistico o di scientifico ma erano un passatempo. Già! un passatempo non molto dissimile da una vecchia "catena di sant'Antonio" di una volta.


Non ne esco più ! Come si fa a smettere ?
Rispondo alle ultime due richieste di amicizia, scrivo qualche parola nella bacheca di chissà chi è, dò da mangiare ad un cavallo della Pet Society e chiudo tutto. Ho


NAUSEA
:-(

Friday, July 16, 2010

NAUSEA ESTIVA


E' da qualche giorno che fa caldo, caldo sul serio e già rimpiangi l'inverno e le giornate di freddo e pioggia che ci hanno accompagnato sino a qualche giorno addietro.
Con il caldo non hai voglia di stare in casa a fondere il climatizzatore che, pare fatto apposta, quando serve c'è sempre qualcosa che non lo fa funzionare come dovrebbe per cui , soprattutto la sera, esci ed accetti qualche invito di un amico di andare fuori, in qualche locale dove hanno provveduto ad apparecchiare dei tavolini fuori.
Speri ardentemente nel fresco degli spazi esterni ma presto avrai le tue delusioni e, con esse, inizieranno le tue sofferenze.

"Un piatto di insaccati e formaggi vari accompagnati da una insalatina fresca" è il consiglio di un giovane-studente-universitario-cameriere, gentilissimo, sorridente, lucido di sudore. "Da bere una spina da 400 doppio malto. Fresca , anzi ghiacciata! Mi raccomando!" è l'esortazione del mio amico che preferisce evidentemente la temperatura esterna della bevanda e degli alimenti ma ne sconosce le calorie ed il potere "riscaldante" soprattutto della birra che subito dopo essere stata bevuta viene restituita al pianeta attraverso un copioso sudore che umetta le nostre camicie e dona una sensazione di caldo ancora più fastidioso.

Ma quella sensazione di calore, anche piacevole a dire il vero perchè è con amici che stai passando una serata, viene interrotta dall'arrivo, all'improvviso, di una limousine bianca: dodici metri di auto, una lunga scritta - Bacirubati - sulle fiancate reclamizza merce di abbigliamento dozzinale per una clientela sempre più priva di gusto. Luci blu a l.e.d., psichedeliche, illuminano il fondo di quell'auto di per sè non proprio fine ma che in compenso quelle luci rendono ancor più orribile e, finalmente, escono gli occupanti che prendono posto negli stessi tavoli dove sto io con i miei amici.

Tre bonazze, appena vestite, sorridono, garriscono alla vita mentre due palestrati cercano subito l'attenzione di un qualsiasi pubblico. Nel mezzo al detto gregge un giovane maschio italiano saluta persone che non ha mai visto in vita sua, sorride ad altri che non conosce e risponde ai sorrisi di altri sconosciuti. Mi colpisce un tatuaggio all'interno dell'avambraccio destro: un Padre Pio in scala 1:1. Questa si che è fede! Ma chi è? Boh! Ma si ! E' lui! - dice all'amica una giovinetta sicuramente poco attenta alle cose vere e serie della vita ma invece così diligente per i programmi TV - E' Fabiano: quello del Grande Fratello. Quale Grande Fratello? il sesto !!! E gli corrono incontro con i loro telefonini pronti a scattare foto ricordo.

Fabiano dopo avere rassicurato i due bovini palestrati che si erano stretti per difendere la vita e la privacy del grande uomo, le abbraccia ad una ad una, sorride ed emette suoni semplici, elementari, da primate, tipo "Aò! e mo? ferme! anvedi! " .
Accompagna i suoni semplici e poco armonici con gesti americanegroidi tipo "V" o il pollice alzato oppure l'indice il mignolo e il pollice alzati mentre l'altra mano sfiora l'inguine: il suo.

Le oche sorridono e starnazzano, i body guards cercano di contenere il pubblico - circa 5 o 6 ragazzini che, forse miopi, si erano avvicinati per vedere chi fosse la star o, molto più probabilmente, per vedere da vicino quell'auto da 12 metri.

La gente del locale, inizialmente infastidita da quella anche se non proprio tumultuosa presenza, ritorna dopo qualche minuto alle faccende che aveva tralasciato, ritorna a discutere, a sorridere, a parlare, a bere, a mangiare.

Anche le due "papere", subito dopo le foto con il divo lo rilegano nei ricordi delle loro cortecce cerebrali formate da poco più di una dozzina di neuroni e ritornano ai tavoli a parlare e a sorridere. Vicino alla lunga auto di 12 metri rimane Fabiano a ripetersi i suoi semplici suoni "Aò! e mo? ferme! anvedi! ": ma non è solo e non se ne è accorto. Ha vicino i due Body Guards che velocemente continuano a guardare a destra ed a sinistra e a contenere una folla che ormai non c'è più. Idioti !

Però! 'sta birra è proprio tosta! Approfitto della vicinanza del giovane, simpatico, studente-universitario-cameriere per chiederne un'altra e "nun me frega n'cazzo se me viene a..."

NAUSEA
:-(

Saturday, June 19, 2010

I ... TALIANI !!!!


Lippi preferisce una squadra "da spogliatoio", improntata cioè nel gioco armonico da stabilire insieme. Preferisce un gioco di squadra che una squadra per giocare e non è un semplice gioco di parole.

Giocatori come Balotelli o Cassano, vere perle del calcio mondiale, sono di pari passo difficili da gestire, nevrili, capaci di grande spettacolo e grande gioco ma intolleranti ai consigli e, men che mai, ai rimproveri del mister.

Lo schema di gioco del calcio nazionale proposto e ben consolidato, meglio inteso come 4 4 2, oggi accusa della lentezza delle ali e della incapacità di fare gioco veloce e preciso al centrocampo.

Mancano le figure mitiche della nazionale per questo schema di gioco.

Mancano i Totti e i Del Piero: e della loro mancanza ne soffrono le punte e Gilardino in particolare che risulta essere una figura avanzata ed esiliata in una posizione del campo assolutamente non servita dal resto della squadra.

Potrebbe sembrare il riassunto di un articolo di certa stampa sportiva specialistica come il Corriere o la Gazzetta dello Sport ma non lo è proprio.

Mi trovo nel salone ed attendo il mio turno e quanto sopra detto è il parere saccente ed attento del mio barbiere che tra un taglio di basetta ed un veloce sforbiciare della zazzera di un cliente disquisisce sulla tattica e sulla strategia dei nostri undici eroi nelle trincee del Sud Africa.

La richiesta di attenzione di un altro cliente che, nell'attesa del suo turno, viene attratto da un articolo e soprattutto dalle foto di una seminuda Belen Rodriguez, bonazza dell'ultima ora, su di un settimanale in abbonamento al salone - Novella 2000 (ndr) - sortisce un velato apprezzamento da un vicino mentre scolpisce una smorfia di disapprovazione sul volto del vate barbiere che viene accolta come un dogma dal discepolo cliente che riceve oltre al taglio del crine la verità profusa. Scuotono la testa entrambi come fosse un rimprovero ed il barbiere, come se nulla fosse accaduto, riprende le sue analisi.

Italiani! Italiani brava gente! Italiani capaci di tutto e di tutto sapienti!

Ho conosciuto gente umbra parlare di andatura di bolina e di beccheggio e di rollio al pari, se non meglio di vecchia gente di mare e gente poco più che ignorante ragionare di diritto costituzionale e valore della Costituzione al pari di giurisdizionalisti polverosi e navigati ed altri ancora parlare di Borsa ed Economia Mondiale da fare arrossire un Draghi che altri non è che un Governatore della Banca d'Italia.

Italiani,! Se non ci fossero bisognerebbe inventarli ma, come le medicine o i tabacchi, dovrebbero essere accompagnati da una didascalia del tipo: "Attenzione l'uso continuo ed esagerato può arrecare danno alla salute e provocare

N A U S E A
:-)




Saturday, May 29, 2010

OLTRE LE POSSIBILITA'



Conversazione reale intrattenuta con un pensionato 70enne della quale riporto i passi più toccanti e di rimprovero alle ultime citazioni del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

"Mi dicono che ho vissuto oltre le mie reali possibilità ma non capisco come!

Sono andato a lavorare a 13 anni prima come ragazzo in un bar poi come edile. La scuola non è che mi piaceva molto ma,
per dire la verità, neanche mi incoraggiarono molto a frequentarla.

Mi dicevano che ero un "edile alle prime armi" ma io sapevo che trasportavo un secchio in
metallo o in plastica pieno di cemento da una parte all'altra. Era pesante quel secchio e troppo magro io e qualche schiaffo sul collo da parte del principale brucia ancora .

Poi, a 18 anni, ho conosciuto una ragazza, Maria. Facevamo grandi progetti bloccati quasi subito da un bambino, il mio primo figlio. Gran bel bambino: non so a chi assomigliava ma mangiava come noi.

Nel frattempo non trasportavo più quel secchio ma mettevo i mattoni uno sull'altro e con un piombo facevo in modo che non cadessero. Ed a mio figlio arrivò il fratellino.

Aumentarono le bocche e le spese e diminuì il lavoro ed il denaro.

Strano! Oggi mi accorgo di non aver
mai fatto fare un viaggio a mia moglie !
Io si che ho viaggiato! Conosco il Veneto come le mie tasche. Ho costruito capannoni industriali per far lavorare persone e poi conosco anche la periferia di Monaco di Baviera, Munchen la chiamano, e la regione del Baden Wurttemberg. Stoccarda è bellissima: lì saldavo sbarre di ferro senza mai capire a cosa potessero servire.

E le notti del deserto, in Algeria, sono indimenticabili, così stellate, fredde, magiche. Peccato però! Peccato per quel puzzo incredibile di gas. Saldavo tubi e mi pagavano. Mi pagavano bene e quei soldi arrivavano a casa, a Maria che li portava in banca per pagare un mutuo: un debito oltre le mie possibilità. Dimenticavo: avevo comprato anche una casa. 70 metri. Molto comoda per tutti noi - eppoi
io ero sempre in giro!- e potevo pagarla comodamente in 20 anni.

Oggi è mia!

I miei figli sono andati via: hanno una loro famiglia adesso. Oggi non voglio andare più in giro per città e neanche Maria lo vuole. Ma l'ha mai voluto? Chissà! Passiamo le nostre serate davanti alla TV. Continuiamo a vivere una vita oltre le nostre possibilità !"


:-(


Wednesday, May 26, 2010

MASS MEDIA



Invito chi legge questo post a smentirmi. E' un invito sincero, senza nessun'altra motivazione se non quella di voler capire se esiste altra vita nel pianeta (mi sto allargando un po' troppo !) a pensarla in questo modo oppure cosa mi sto perdendo e cosa non capisco dei talk show italici.

Sono convinto che uno spettacolo di cui intendo parlare debba far comprendere una determinata argomentazione, discutere un problema che affascina quel dato momento l'opinione pubblica e compito del moderatore, figura insostituibile e nobile, è quella di condurre il discorso al cuore del problema evitando le liti.

Grandi esempi di questi spettacoli sono il celebre David Letterman Show americano e il più noto e caciarolo Maurizio Costanzo Show ormai affidato al ricordo della televisione patria. Entrambi i conduttori sapevano e sanno gestire l'ospite, sapevano e sanno destare l'attenzione del pubblico ed intervallare alla seriosità del tema la leggerezza di una battuta rivolta al pubblico, una risata.

Ieri sera, Giovanni Floris ha condotto l'ennesima puntata di Ballarò.
Tema della puntata l'attuale crisi del mondo occidentale ed in particolare dell'Europa. I modi e metodi per affrontare la crisi e le speranze per un futuro migliore.

L'argomento è serio e capirne qualcosa è ancora più utile. Ma già dall'inizio si capisce che qualcosa non va. Perchè non deve andare.

Un odioso guitto - Crozza - apre la trasmissione con satira di circostanza facendo capire da che parte politica lo staff è schierato, quindi un economista, premio Nobel, discute della cosa in solitaria e finalmente il conduttore presenta gli ospiti: una decina, divisi per fede e credo politico su due file che si fronteggiano, ed un esperto esterno - Nando Pagnoncelli presidente dell'IPSOS, società per il rilevamento di statistiche che tante odiose possono sembrare quanto gradite infine esse sono ai più.

La trasmissione dura circa due ore, comprensive della onnipresente tediosissima pubblicità ed in tutto il periodo un Floris corre gridando avanti ed indietro al centro delle due file per tutta la distanza dello studio di circa 12-15 metri investito dalle grida degli ospiti che tra loro si lanciavano invettive ed accuse.

La domanda che mi sono sempre posto è: "Ma è proprio necessario ed opportuno invitare tanta gente così da far sembrare la trasmissione più un pollaio schizofrenico che un seminario utile per chi parla e, soprattutto, per chi ascolta"? Ho ragione ed i fatti mi confortano. Ed infatti ...

il Floris, correndo come un ossesso, cerca disperatamente di mediare gli ospiti che ormai sembrano essere concorrenti ad una bocciofila. Grida anche lui cercando di imporsi e riportare i discorsi al tema del giorno, di dare la parola ad un ospite che ha gridato di meno, è il caso dirlo, e che viene immediatamente interrotto da altri ululati da un altro ancora. "Vada a farsi fottere!" è il linguaggio usato da un notissimo esponente della sinistra italiana diretto ad un giornalista e "qui si va a puttane!" e la frase che un esponente del centro destra grida a questo punto a chi lo vuol sentire. Ballarò diventa il Bar dello sport.

Dopo qualche chilometro di marcia Giovanni Floris chiude invitando con un sorriso tirato il telespettatore a seguirlo alla prossima puntata mentre in sottofondo si sentono ancora le grida degli stessi ospiti che privi di ogni freno inibitore e dimentichi di essere i partecipanti ad un programma, di essere nelle case di molti, continuano con i loro digrignare di denti, con i loro "Io non l'ho interrotta!" oppure "Adesso tocca a me!" e "Solo due parole e non la interrompo più" manca solo che qualcuno gridasse "W Inter" o che cantasse "Ma che ce frega ma che ce 'mporta!" ed il quadretto sarebbe completo, perfetto

NAUSEANTE
:-)

Saturday, May 15, 2010

PAROLE




Le parole servono per costruire le frasi che servono, a loro volta, ad illustrare un pensiero, a comunicare, a trasmettere sensazioni, rabbia, dolore ed anche nausea.
Le parole quindi come strumento per avvicinare non per allontanare, come un muro invisibile che serve per distinguere chi le usa in un modo anzicchè un altro.

Ho avuto tra le mani un settimanale, un giornalino di quelli dei programmi TV. Niente di eccezionale.
TV MIA è il titolo (da dimenticare) della Cairo Editore (da chiudere) e Sandro Mayer il direttore (da arrestare).
Non serve a nulla. Non sono interessanti i servizi. Brutte le foto. Non serve neanche per lo scopo che si prefigge.
Insomma non vale assolutamente i 70 centesimi che costa.

All'interno un articolo, un'intervista, ha attratto la mia attenzione. "Io e mio marito abbiamo un pitone" è il titolo. Viene intervistata Francesca Inardi, una squinzietta dell'ultima ora nota non so a chi e men che meno per cosa.
Il servizio (sigh!) è di Mattia Pagnini che avrà fortuna probabilmente come fisico nucleare ma non avrà mai, a mio parere, un premio al giornalismo.
La giovinetta, nella breve intervista di due pagine, spiega allo stupito Pagnini di aver voluto sempre un serpente e finalmente, dopo aver convinto anche il marito, ha il suo rettile che gira per casa. "De gustibus non disputandum est" diceva Cesare o chi per lui.
L'intervista (arisigh!) si sarebbe potuta concludere in questo modo ma l'attento Pagnini vuole strafare ed ecco la domanda che fa tremare i polsi:"Com'è avere un pitone per casa?"
La risposta della star mette in moto gli intestini di chi legge:
"E' un animale alquanto particolare con cui nasce un rapporto decisamente diverso rispetto a quello che puoi avere con un cane o un gatto."

Pensa se fosse un rinoceronte o un ippopotamo!

"Un serpente non è in grado di riconoscermi, di capire che io sono la sua padrona".

Però! che bella compagnia!

"Con lui, però, si riesce a stabilire un tipo di comunicazione molto intima; quando mi è vicino, riesce a percepire il mio umore e, con i movimenti del suo corpo, sa amplificare le mie emozioni. E' incredibile !"

Ho una cultura limitata. Non ho studiato abbastanza ed oggi me ne pento più dei miei peccati. Cosa avrà voluto dire o meglio cosa avrei dovuto intendere dal
Pout Pourri di quelle parole? Cosa significa "comunicazione molto intima" oltre a ciò che il mio cervello flaccido e perfido ha inizialmente pensato? Come fa un rettile ad "amplificare le emozioni"? quali emozioni?

Debbo studiare. Prepararmi per un'eventuale intervista su qualsiasi argomento come, ad esempio, la pace, la guerra, l serpenti, gli ippopotami, la crisi economica, l'Inter, Vasco o Valentino Rossi, gli arabi o gli ebrei, perchè non ha importanza di che si parla ma come si risponde. E per qualsiasi domanda la mia risposta sarebbe "non è sicuramente un - animale, persona, squadra, popolo, religione - che ama gli schemi o le generalizzazioni. a prescindere dalle categorizzazioni, dagli stereotipi, dagli attributi che la società impone".

Non significa un cazzo ma vuoi mettere il figurone e la

NAUSEA
:-(

Tuesday, March 09, 2010

BAMBINI



Sto sempre più cambiando. In meglio dicono alcuni mentre altri non condividono proprio. Amo gli altri, quegli "altri". Mi danno speranza.
Ho avuto sempre ed ho terrore dei cambiamenti.
Ritengo opportuno non divagare ed andare al racconto perchè, appunto, di racconto, di un altro racconto, si tratta.
Ieri ero a Bologna.
Un freddo cane condito da una leggera pioggerellina che ogni tanto inzuppava gli abiti di quelli che, come me, hanno pensato: "Ma dai! non pioverà mica?" ed invece....

Sono uscito da poco da un supermercato ed avanzo a passo lento per una di quelle strade della periferia che rendono Bologna ancora più adorabile. Una strada, con un piccolo marciapiede a contatto con dei giardinetti: vuoti proprio per il freddo.

Dal senso opposto vedo giungere una giovane donna con una busta in mano che spinge una carrozzina con un bambino di qualche anno affogato all'interno di un piumino con cappuccio. Un piccolo "Michelin" rosso che riusciva
appena
a girare la testa. E girava la testa verso il fratello alla sua destra, un bel bimbetto di circa cinque anni.

Questi aveva alla vita un cinturone con una fondina tipo Old West ed in mano una pistola giocattolo, a tamburo, che puntava dritta contro il fratellino ed intimava a questi: "Altolà vecchio zeien puzzone! Sssòccia! Mi volevi colpire con la tua frezzia avvelenata e mò io ti uzzido". Clich! Clich! Clich!

Bellissimo! Ma riusciresti mai ad immaginare un cowboy che parli con un forte accento bolognese? E se fosse vero riuscirebbe mai quel cowboy ad uccidere? Assolutamente no, credo.

Piove ancora e dicono che continuerà a piovere per tutta la settimana.
Sssòccia!!! Maledetta "piozzia"!

Continuo a camminare e ripetendo innumerevoli volte la frase del giovanissimo cowboy sorrido e sorrido ancora e con ciò sconfiggo quella puzzosa


NAUSEA
:-)

Sunday, March 07, 2010

CATANIA



Ho già scritto un post su questa città, "Gli altri siamo noi" del 2.2.2008, ed oggi ritorno sull'argomento ed, in particolare, su quella gente. Gente incredibile, assurda, assurdamente irreale, impossibile ma da crederci.
A me è successo e, mi dicono, che normalmente così succede da quelle parti.
Ma procediamo con ordine.

Ho un appuntamento di lavoro a Catania e lì devo recarmi per discuterne i punti e, soprattutto gli interessi. Decido di raggiungere la città in aereo e lì affittare un'auto per muovermi ma già sull'aereo mi viene in mente il traffico di quella città, l'impossibilità di trovare un parcheggio, come raggiungere il mio indirizzo.
No! E' meglio e più opportuno prendere un taxi.
Dopo meno di un'ora di volo atterro a Catania e già quella pista mi mette i brividi.

Non ne ho la competenza ma ho sempre sostenuto che quella pista sia, come dire, un po' "piccola". Me lo fa pensare la frenata brusca al momento dell'atterraggio e l'urlo dei motori che frenano l'aereo. Ciò, ad esempio, non succede a Roma o a Milano dove, credo, quelle piste sono, come dire, "normali" più lunghe, insomma.

Comunque! Prendo il mio trolley ed esco fuori e, sorpresa, non c'è un taxi. Chiedo ad un signore lì del posto che mi risponde gridando "Ciù spiassi a Stancanelli!!" - lo chieda a Stancanelli -. Dallo stesso signore apprendo che Stancanelli è il sindaco, poco amato a dire il vero, ed i tassisti sono in sciopero per un disegno comunale sulla categoria.

"Pigghiassi u 457!" - prenda il 457 - continua ad urlare il brav'uomo cercando di allungarsi il braccio all'inverosimile per indicarmi da dove l'autobus di città, il 457 infatti, partiva. Ma si! prendo l'autobus!

Un euro il prezzo del biglietto dall'aereoporto al centro città contro gli undici di Roma, i sette di Milano e i sei di Bologna ad esempio. Mica poca la differenza!

Il bus sembrava che mi stesse aspettando ed infatti, dopo essermi seduto, con un forte strattone è partito.

Debbo raggiungere via Lorenzo Bolano e so che si trova nella parte nord della città. Dopo qualche minuto chiedo quindi ad una signora sessantenne, lì sull'autobus, se poteva indicarmi qualche altro bus da prendere per giungere in quella via. "Ascutassi, è facili! Appena arriva a femmata i via Etnea, issi chiù avanti e pigghiassi u 25!" - mi ascolti. E' facile! appena arriva alla fermata di via Etnea, vada più avanti e prenda il 25 - Disse quella signora agitando il palmo delle mani, muovendo gli occhi al ritmo delle labbra e...gridando come se qualcuno l'avesse avvisata, sbagliando, che ero sordo. "Ma picchì a via Etnea? Nun'è megghiu che scinni a Stazioni e pigghia u 431 cu porta rittu rittu a via Bulanu?" -Non è meglio che scenda alla Stazione e prenda il 431 che lo porta dritto dritto in via Bolano? - Chiede, gridando, un'altra signora alla prima! "Giustu! anchi u 431 è bonu. Quannu passa!!!" - Giusto! anche il 431 è buono. Quando passa! - dice la prima facendo intendere che i tempi non sono proprio rispettati e comunque lunghi ed aggiunge "Sintissi a mia: u 25 u potta o capolinea e ddà po piggiari u 525 oppuru u 628. Tutti boni su!" -mi ascolti: il 25 lo porta al capolinea e lì potrà prendere i 525 oppure il 628. Sono tutti buoni! - . Ad eccezione del 457 tutti gli altri autobus sono da me indicati a caso non potendone ricordare esattamente i numeri.


"Puvireddu! Chistu stasira arriva!" - poveretto! questo qui arriva stasera! - grida sconsolato un signore rivolgendo lo sguardo a mo di preghiera al tetto del pullman ed avendo attirato la mia attenzione, con voce calma, rauca e, comunque, sempre con alto volume mi dice: "Ora lei scinni a stazioni e pigghia u 67...." - ora lei scende alla stazione e prenda il 67... - "Ma picchì? picchì?" - ma perchè? perchè? - grida la seconda signora rivolta al signore che viene investito come da una imprecazione. "U 67 passa per piazza Indipendenza e nun arriva mai!!!!! Lei" rivolgendosi a me "ava a piggiari u 25....."

L'autobus all'improvviso, nervosamente, sposta a destra. Si ferma. "Giovanottoooo! Lei av'arrivari in via Bolano?" grida un omone poco più che cinquantenne, di circa un quintale, l'autista. Accenno un si con la testa. Con la mano mi fa cenno di aspettare e di avere fiducia in lui.

Come una sentenza della Cassazione quell'invito viene anche condiviso dal resto dei passeggeri che con sorrisi e cenni del capo condividono la decisione dell'autista.

L'autobus riparte e quell'uomo inizia ad armeggiare con il proprio telefonino. "Pippoooo! Unni si? Moviti ddocu!" - Pippo dove sei? aspetta lì? - Dallo specchieto mi fa cenno di avere fiducia. Nel bus ora c'è solo un brusio molto ben tollerabile.
Dopo qualche minuto arriviamo alla stazione ferroviaria. Il 457 si avvicina ad un autobus. "Pippooo! Lassalu in via Bulanu!" - Pippo! Lascialo in via Bolano! - grida l'autista al collega indicando me. "Scinnissi e issi 'nno collega!" - Scenda e vada con il collega -.

Ringrazio quell'uomo e voltandomi ringrazio con un cenno del capo le signore che rispondono con un sorriso soddisfatto al mio saluto.

Saluto con un cenno del capo anche al signore che pregava rivolto al tetto del bus che mi risponde come infastidito con un "Uummh!" ed un cenno della mano.

Salgo su quel pullman e l'autista mi chiede: "Esattamente lei unn'ava ghiri?" - esattamente lei dove deve andare? -. Indico la sede della società. Dopo circa un quarto d'ora l'autobus inizia a rallentare, piano, sempre più, sino a fermarsi. "Arrivato! Scinnissi" - Arrivato! Scenda - .

La mano di Pippo l'autista mi indica la sede della società.
Un cenno del capo ed un sorriso privo di qualche premolare è la risposta al mio "Grazie".


Non posso fare a meno di notare che dove sono sceso non c'è fermata del bus e che l'ingresso alla società è troppo stretto altrimenti Pippo sarebbe entrato con il bus sino alla porta.

Una cortesia in più di Pippo nei miei confronti. Una cortesia per una persona che Pippo non conosceva prima.

A Catania è tutto rumore, grida. Rumore solare che forse disturba ma che dà calore. Grida civili che fanno bene al cuore, riscaldano e non danno


N A U S E A

:-)

Friday, January 01, 2010

AUGURI DA BOLOGNA


Ci sono città nel mondo, poche a dire il vero, da considerare bomboniere per come si presentano al turista, per come la gente lo accoglie e lo ospita.

Bologna è una di queste. Bologna è una bomboniera.

Ho trascorso la notte del 31 dicembre in Piazza Maggiore, dove, su di un lato, era allestito un palco da dove suonavano e cantavano le glorie della nazione: Lucio Dalla, i Negrita e qualche altro ancora dei quali non ricordo il nome ma senza, perciò, farmene una malattia.

Lucio, alla tastiera, inespressivo, quasi annoiato, superiore, a parer mio con l'espressione facciale ormai paralizzata da massicce dosi di botulino, cantava le canzoni che hanno già visto il trascorrere di intere ere geologiche, mentre dietro, proiettato su di un muro del palazzo, un enorme orologio digitale scandiva il tempo, ormai i pochi minuti, che segnalava l'avvicinarsi del nuovo anno.

Meno 3, meno 2, meno 1........AUGURI !!!

Un'esplosione di gioia e di brindisi e di felicità invade la piazza tutta. Una gioia falsa, a mio parere, fatta di risate artefatte, una gioia falsa perchè per la notte di capodanno si deve essere felici e gioiosi e ridere dell'evento e per l'evento.

Al centro di Piazza Maggioere, due grandi gruppi, di circa un centinaia di persone, cercavano di attirare, riuscendovi, l'attenzione su di loro. Il primo un gruppo di nordafricani, tusinini, marocchini, algerini - tanto sono tutti uguali quanto incivili - gridavano al mondo intero la loro gioia con bottiglie di spumantaccio nelle loro mani, il secondo fatto da cingalesi o mauriziani o indiani - tanto sono tutti uguali quanto inutili anche loro - cercava un sorriso condiviso da noi ormai sparuti indigeni.

Per la loro gioia, ai salti facevano seguire un lancio di bottiglie vuote, prima al centro della piazza poi verso qualche vetrina incrinandola, ma ciò era gioia, divertimento, quell'inarrestabile voglia di vivere.
Ma Bologna non sembra più una bomboniera, non lo è più, ma mi pare più la medina del Cairo o di Tunisi o di Algeri - tanto sono tutte città uguali e luride -.
Peccato!
E poi, dopo le risa o con le risa, vomito ed ancora urla e
N A U S E A
:-)