Saturday, August 07, 2010

GENTE COSI'

Ormai da qualche anno vivo, in affitto, in un palazzo nobiliare antico. La nobiltà di quest'immobile è visibile all'ingresso dove una enorme aquila, credo in gesso, sovrasta, all'interno, il portone mentre una vetrata colorata, posta di fronte ad esso, limita l'accesso a quello che nei tempi scorsi sarebbe dovuto essere un giardinetto mentre oggi è il deposito di ingombranti serbatoi d'acqua e di una rumorosissima autoclave. La nobiltà decaduta si apprezza anche dalla polvere che incipria gli stucchi delle scale, ne oscura le lampade e dai mattoni del mio piccolo appartamento che si staccano con maggiore frequenza.

All'esterno dello stabile vi sono dei negozi, alcuni dei quali, ultimamente con maggiore frequenza, cambiano i proprietari delle licenze e le categorie merceologiche mentre il più piccolo di questi espone con fierezza un'insegna sull'ingresso, in lamiera con una scritta in corsivo verde scuro su sfondo crema; F.lli Grimaldi - Sartoria dal 1926.

Il vecchio sig. Grimaldi lo trovo ogni giorno seduto su di una umile sedia vicino alla porta, chino su qualche stoffa a cucire ed appoggia un piede su di uno sgabello che serve da banchetto per i "ferri" del mestiere: matassine di filo, una forbice, un gessetto, un ditale e piccoli altri oggetti. L'altro fratello, ho saputo, è deceduto già da qualche anno ed altre due persone, un ragazzo ed un uomo quarantenne lo aiutano ad andare avanti con il lavoro.

Il signor Grimaldi è una brava persona e mi piace scambiare qualche parola con lui.

"Come va, signor Grimaldi?" chiedo dopo averlo salutato. "Bene ma ... potrebbe andare meglio o ... forse non andrà mai meglio di così!" mi risponde storcendo un po' la bocca.

"La crisi, vero?" chiedo con quel po' di retorica e "No ... non è crisi. Anzi , a dire il vero, non ho mai accusato la crisi in questo settore. Ma si accomodi. Prenda quella sedia e si sieda. Qui, vicino a me! Scambiamo due chiacchiere" .

"Vede! Ho il negozio pieno di buste di negozi di abbigliamento di una gran parte della città. " dice. "Bene! No?" chiedo pur sapendo che proprio in quelle buste sta l'origine della smorfia al viso del signor Grimaldi. "Si, certo che si ma ... si tratta di lavori semplici, di routine. A questi debbo accorciare i pantaloni e stringere qualche abito, mentre a quelli debbo cambiare i bottoni o aprire qualche asola. Tutti lavori così, senza interesse, senza gioia. Lo sa? si deve lavorare anche per la gioia oltre che per il denaro. Anzi..." e si interrompe con la stessa smorfia al volto di prima.
"Anzi ?" chiedo per sentirne il ragionamento. Il vecchio sarto appoggia ciò a cui lavorava sulle gambe, si toglie gli occhiali e ricordando i tempi andati dice: "Una volta si lavorava per poco e quel poco sembrava moltissimo. Eravamo tutti povera gente ed il sarto serviva a nascondere la povertà. Quante volte ho "girato" cappotti e giacche! e certe volte l'interno era più logoro della parte in superfice ! Ricordo anche quando con Emilio, mio fratello, prendevamo le misure di qualche abito da produrre per il matrimonio del cliente. Sempre con qualche mezza taglia in più perchè, dopo il matrimonio, spuntava la pancetta. E quel cliente ritornava, dopo qualche anno, perchè si doveva fare qualche altro lavoro, sempre allo stesso abito. Dover dire ad un cliente che non c'era più nulla da fare per il suo vestito era come riferire una diagnosi cattiva, infausta. Ricordo anche il viso di quelle mamme che portavano i pantaloni nuovi dei loro figli bucati sulle ginocchia per una caduta durante una partita di calcio. Aspettavano in preghiera una nostra sentenza il più delle volte molto mite. Ma eravamo sarti e la sartoria era il nostro lavoro. Poi sono venuti i signori Marzotto, Lebole, Sanremo con i loro abiti da catena di montaggio. Tutti uguali, modesti sia nel taglio che nella qualità delle stoffe ma noi servivamo ancora, servivano i nostri ditali per modificare qualche mezza taglia o la lunghezza. Oggi non è più così! La qualità delle stoffe è pessima e gli stessi vestiti debbono servire solo per una stagione o due al massimo. Eppoi ci sono i nuovi tessuti supertecnologici. Li chiamano Hi Tech come la Ceramide o il Teflon oppure il Goratex. Per me sono solo plastica: impossibili da cucire, difficili da regolare, brutti. Pazienza!" e scuote piano la testa come per voiler concludere un discorso doloroso.

"Già! Vero!" dico e subito vengo interrotto "Oggi mi danno 10 euro per accorciare un pantalone e 20 per un piccolo lavoro su un abito di seta. Guadagno bene e non mi posso lamentare ma vuoi mettere?..."

Non è la stessa cosa. Non può essere la stessa cosa. Non potrà mai essere la stessa cosa. Tutto cambia e cambierà tranne che la

NAUSEA
:-)

4 comments:

Anonymous said...

Toccante!

Quasi piangevo mentre lo leggevo.


Giovanna,per gli amici Giovy(con la Y)

Anonymous said...

Pura e semplice realta'...

Anonymous said...

Dal punto di vista del sarto,oggi si stà peggio di ieri.
Ma dal punto di vista dell'acquirente è così?
Io penso di no.
Oggi il cliente ha la possibilità di cambiare e di avere nell'armadio più di un vestito "buono"(la qualità non sarà la stessa e il vestito non sarà perfetto ma il cliente è felice ).

L'unica cosa che dispiace e che i rapporti umani si stiano perdendo.

alfaomega60 said...

E chi si potrebbe permettere oggi un vestito confezionato da un sarto? Certamente non io nè, tantomeno, tu, da come scrivi.
Non discuto dei vestiti infatti ma della qualità del lavoro in generale che oggi viene a mancare.
Si lavora per il denaro e che sia sufficiente ma non per la passione che riesce a dare.
Una volta ho sentito un giovane operaio siderurgico dire ad un giornalista: "Nuie facimme navi"! E lo diceva con orgoglio, con passione e non parlava di euro o di guadagni. L'euro da richhezza ma non l'orgoglio per ciò che si è e si riesce a fare.