Tuesday, July 19, 2011

TATTOO

Eravamo abituati a ben oltre, a figure quasi oscene sulla pelle delle braccia o del petto. A volte anche sulle spalle. Ricordo alcuni marinai con dei velieri sul deltoide o orripilanti pregiudicati nostrani e già ospiti delle patrie galere mostrare scritte come "Mamma perdonami" oppure "Maria" o un altro nome e giù per le braccia figure come assi di spada oppure grade o visi e corpi di donna senza alcuna proporzione nè bellezza.

Quei disegni sulla pelle erano fatti artigianalmente usando nero di china e quattro aghi legati tra loro e conferivano a quel tatuaggio un segno indelebile di oscenità, di cattivo gusto, di orrido.

Fa troppo caldo e, come sempre accade, per allontanare la calura il rimedio migliore è andare a mare. Mi piace il mare di pomeriggio, dopo le 16. C'è meno gente, meno sportivi da tamburello o racchettoni, meno mamme con bambini chiassosi e, comunque, fastidiosi. C'è il mare ed un po' di frescura. E questo mi basta per avvicinarmi agli dei.

La spiaggia è larga ma un giovane ritiene opportuno piantare il suo ombrellone proprio vicino al mio. E' accompagnato dalla sua ragazza, molto carina, sorridente.
"Buonasera" mi dice il giovane, "Nghee!" credo invece sia il saluto della ragazza con un sorriso paralizzato sul volto.

"La disturbo?" Vorrei rispondergli di andare a perdere l'anima altrove ed invece rispondo con un "Ma si figuri!" con un mio sorriso ebete.
Stendono un telo per terra e subito dopo si tuffano in acqua.
Non ho potuto fare a meno di notare un tatuaggio sulla spalla del ragazzo. Un ricamo irto di punte all'apice di lame curve ma non spade o lance ma solo un disegno eseguito con cura. Un disegno che non ritrae niente. Solo un disegno che occupa tutta la spalla sinistra e la colora di un blu scuro.

Poco dopo il giovane esce dall'acqua e viene a sdraiarsi sul suo telo. Il suo tatuaggio e lì e non posso fare a meno di osservarlo. Chiedo quindi cosa rappresenta ed il giovanotto, credo inorgoglito per l'opera d'arte che ha attratto la mia attenzione, mi risponde: "E' un tatuaggio tribale". "Appartieni a qualche tribù? a qualche clan o, chessò, club?" chiedo più infastidito per la risposta che per mia curiosità. "No! Un tatuaggio tribale è ... è ..." già è il pallone e cerca tra le spire del suo cervello una qualche risposta che abbia un senso "è una cicatrice del proprio sentire".

Mi viene voglia di sfilare il mio ombrellone e trafiggerlo. Ma come si può rispondere in questo modo? che significa? Le mie titubanze o, probabilmente, la mia ottusità fa si che il giovane continua nella sua oratoria al riguardo. "Vede, oggi ci si tatua per tirare fuori quello che si ha dentro trasformando il proprio corpo come strumento di comunicazione. Vi è una sorta di riappropriazione di esso". Faccio una smorfia di accondiscendenza con il mio viso.

Non ho capito assolutamente nulla di cosa intendesse il giovane come credo che neanche lui abbia capito cosa volesse dire. Era un discorso preparato e sparato lì, sul momento, per stupire più che per far intendere.
Dall'acqua del mare esce e viene incontro la ragazza. Ha anche lei un tatuaggio che dalla caviglia sale quasi sino al ginocchio. Un tatuaggio colorato di blu, verde e rosso.

Da vicino vedo raffigurato un rovo con delle foglie e fiori che si attorciglia al polpaccio. A distanza sembrava una muffa bollosa, un'alga putrida, una mucillagine oleoasa e densa che offende la bellezza, anche se non proprio unica, della ragazza.
I due "comunicano" in questo modo ed io non ho più nè tempo nè voglia di ascoltarli perchè ho

NAUSEA
:-(