Non credo sia opportuno nè giusto scrivere sempre su qualcosa di brutto o fastidioso. Invece voglio narrare di una sensazione allegra anche se, tra le righe, si può anche cogliere uno stato non proprio giocoso.
Sono a Catania. La giornata è fresca ma un sole brillante illumina case, strade e persone. In via Etnea, un lungo nastro nero in pietra lavica che quasi dal mare arriva dritto dritto su, o forse dentro, l'Etna, la gente si muove, corre, aspetta l'autobus, conversa ed il tutto nel più totale "casino".
A Catania la gente non sa sussurrare. Urla. Urla nel chiedere informazioni. Urla nel darle. Urla anche nei gesti. Si agita, senza bisogno alcuno, per segnalare la loro presenza ad un autista di un pullman. Una madre impreca se al proprio bambino cade qualcosa per terra. Una ragazzina grida qualcosa al suo ragazzo che ride forte urlando. Persino i Vigili gettano l'anima dentro i loro fischietti per far muovere autovetture che sono impossibilitate a farlo a causa di un traffico ormai collassato e, nel frattempo, urlano anche loro e fanno urlare i clacson.
L'ho sempre sostenuto: l'esasperazione è parte integrante di queste genti del Sud come l'affetto o l'odio o i sapori e gli odori. Possono piacere o non piacere. Non c'è via di mezzo!
Ma, dicevo, sono a Catania. Scendo in strada dalla stanza del mio hotel in centro a via Etnea e mi accorgo che con me scende una comitiva di circa una dozzina di anziani turisti tedeschi credo, o americani. Non ha troppa importanza.
Ma, dicevo, sono a Catania. Scendo in strada dalla stanza del mio hotel in centro a via Etnea e mi accorgo che con me scende una comitiva di circa una dozzina di anziani turisti tedeschi credo, o americani. Non ha troppa importanza.
Esco dell'hotel e vengo investito da un terribile suono di una marcetta che dovrebbe essere la celebre Cucaracha. L'orchestrina è composta da una tuba, un trombone, due trombe, due piatti, un rullante ed una grancassa. Ogni componente della banda suona in modo da coprire gli altri ed il suono è assordante ed, al tempo stesso, allegro. Davanti all'orchestrina un fercolo dorato, alto circa 6-7 metri, in un esasperato stile barocco contiene 4 loggette con quattro santini all'interno sormontati da una grossa sfera adorna di fioni attorno alla quale tre putti obesi, dorati anch'essi, lievitano assicurati da un solido ferro che li collega al fercolo, sotto la sfera bandiere e luci.
Dopo una breve sosta, sei uomini, volgari nei gesti e nell'aspetto, grassi e sudati, con delle strane imbracature fatta di sacchi e robuste cinghie, ad un urlo di comando sollevano da terra quella statua, pesantissima a vedere le facce di quei cafoni, e con un passetto veloce di marcia sincronizzato si muovono in avanti per circa quaranta metri, accompagnati dallo spaventoso urlante suono dell'orchestrina.
Anche i turisti stranieri che erano scesi insieme a me vengono investiti da quell'urlo, da quella luce, da quel frastuono. Non posso fare a meno di guardarli. Sono immobili. Hanno gli occhi "a palla". Non un gesto. Non un sorriso o una smorfia di disappunto. Forse respirano appena.
I turisti, che tutto fotografano, stanno li fermi, immobili, spaventati. Non una parola tra loro, non una foto. Non credono a loro stessi e a ciò che vedono!
Non posso fare a meno di sorridere ed.....andare via!
:-)
1 comment:
You have a most interestingly fine blog.
Stay on groovin' safari,
Tor
Post a Comment